L’arte ha un ruolo, nella nostra vita di uomini e donne impegnati nel lavoro, nel business, nelle mille quotidiane imprese del mondo contemporaneo? Forse per l’educazione ricevuta, forse per una forma di indole, tutti siamo portati a rispondere di sì, che quadri, sculture e anche opere d’architettura rendano il mondo che ci circonda più gradevole e i nostri pensieri più profondi, dando un preciso valore di promozione culturale alle opere d’arte.
Su cosa siano però, veramente, le opere d’arte – su quali lavori dell’ingegno e dell’ispirazione umana rappresentino veramente questo pensiero così alto – l’accordo è molto meno chiaro e generalizzato, e l’arte moderna tende a far esplodere ogni convenzione e ogni semplice distinzione, con i suoi criteri diversi da quelli a cui siamo abituati, come l’abilità tecnica e il realismo dell’opera, lasciandoci privi di strumenti con i quali possiamo conferire un significato ai valori economici, spesso elevatissimi, di opere che non siamo in grado di decifrare. Sono pochi fra noi quelli che non sentono qualche trepidazione contemplando i dipinti elegantissimi del Botticelli, le statue marmoree realizzate dal Bernini, o ancora i grandi Templi degli antichi Greci; ma quali possono essere le nostre riflessioni davanti ad un quadro che, senza false modestie, siamo convinti di essere assolutamente in grado di realizzare con un pennello, qualche colore e un paio di minuti di lavoro distratto e fiacco? È ancora arte? Osserviamo tre esempi che possono lasciarci perplessi.
Jackson Pollock e l’Action Painting
Una sessantina d’anni fa, per essere più precisi nel 1949, Jackson Pollock fu chiamato il più grande pittore di tutta l’America. Tre anni più tardi, nel 1952, l’intero taglio che caratterizza il suo lavoro fu definito come “action painting”, e le sue opere non vennero qualificate più come “dipinti”, ma come veri e propri “eventi”. Osservando però un qualsiasi quadro di Pollock, e anche ammettendo tutta la propria assenza di preparazione sull’argomento, può risultare obiettivamente difficile scorgere l’ispirazione, il messaggio, e tutto ciò che di regola definiamo come tipico dell’arte in quelli che appaiono come meri schizzi di colore su una tela. E la sensazione non cambia, anzi peggiora, quando si scopre come le sue opere siano state valutate in centinaia di milioni di dollari.
Kazimir Malevich e “Quadrato Nero”
Chi fra noi è più sincero e schietto con se stesso nel valutare i propri studi e le proprie competenze, giunge spesso alla constatazione che i suoi criteri di valutazione dell’arte sono imperfetti e incompleti, eccessivamente legati al criterio della corrispondenza al vero, e opera un sincero sforzo per ampliare le proprie prospettive. Ma anche armati della miglior determinazione, siamo davanti a grandi difficoltà nell’assegnare un valore artistico di qualsiasi tipo ad un’opera qualsiasi della corrente del Suprematismo, come ad esempio “Quadrato Nero” di Malevich del 1915. Una tela bianca, quadrata, su cui campeggia un imponente quadrato nero. Null’altro. Siamo noi a non vederli, o oggettivamente non ci sono messaggi e ispirazioni in un’opera del genere? Ad esserci, sicuramente, sono i soldi: il dipinto è valutato intorno ai sessanta milioni di dollari.
Barnet Newman e “Onement I”
Erano gli anni Quaranta quando Barnet Newman dipinse l’opera, esattamente “Onement I”, che avrebbe in seguito incoronato con sicurezza come il punto di svolta determinante e essenziale della propria opera, la sua vera rivoluzione artistica. Si tratta di un quadro rettangolare, più alto che largo, dove una linea gialla, irregolare nei contorni, taglia perpendicolarmente uno sfondo dipinto di marrone in modo uniforme. Newman chiamava quella linea “ZIP”, ed era proprio in quella ripartizione spaziale in due campi dei suoi quadri che vedeva la geniale rivoluzione cui accennavamo. Mentre riflettiamo sul significato che può avere per un artista qualificare una riga gialla come la sua più grande opera, constatiamo che il quadro viene valutato intorno ai cinque milioni di dollari.